Dieci marzo 2020: due mesi fa scattavano le misure restrittive - per contenere il contagio da coronavirus - in tutto il territorio nazionale. Il Dpcm del 9 marzo 2020 estendeva le misure previste da un precedente provvedimento e destinate inizialmente a cinque regioni. Si vietava ogni forma di assembramento di persone in luoghi pubblici o aperti al pubblico fino al 3 aprile. Poi la chiusura di tutte le attività ritenute non strategiche, il balletto sui codici Ateco, il divieto di lasciare il proprio comune di residenza. Quindi la proroga al 13 aprile (per evitare assembramenti a Pasqua), poi fino al 4 maggio (per trascorrere in sicurezza il 25 aprile e il 1° maggio).
Quel giorno, il 10 marzo, in Italia si contavano 8.514 persone positive, 1.004 guarite, 631 decedute, per un totale di 10.149 casi. A due mesi di distanza, il 10 maggio, il contatore segna 83.324 positivi, 105.186 guariti, 30.560 deceduti, per un totale di 291.070 casi.
La pandemia ha spinto a riadattare il nostro sistema sanitario e ad adeguarlo alla gestione di una emergenza di queste proporzioni. Le ricadute sociali, lavorative, economiche sono state tremende e il prezzo da pagare altissimo. Dal punto di vista scientifico, nessuno si azzarda ad ipotizzare tempi per la realizzazione di un efficace vaccino. E incombe la paura che in autunno, con il ritorno del freddo, la pandemia abbia una nuova impennata.
Siamo in piena Fase 2, cioè quella in cui dobbiamo imparare a "convivere" con il virus. Il contagio rallenta, l'Italia scalpita per riaprire, i medici invitano alla prudenza. Cittadini e imprese attendono l'aiuto dello Stato - il "Decreto Aprile" da 55 miliardi è diventato nel frattempo "Decreto Maggio" e ora, viste le difficoltà a fare tornare i conti, è stato ribattezzato più prudentemente "Decreto Rilancio" - ma ci vorranno mesi, se non anni, per tornare ai livelli pre Covid-19.
Il nostro Paese - come il resto del mondo - è stato sottoposto a una sfida inedita e drammatica. Il lockdown forzato ha cambiato le nostre abitudini.
Ci siamo riappropriati delle nostre abitazioni, abbiamo smesso di mangiare fuori e ci siamo dilettati in cucina. Ci siamo inventati gli aperitivi di vicinato, issato bandiere e cantato da un balcone all'altro. Abbiamo visto i nostri parenti attraverso le finestrelle delle videochiamate. Abbiamo festeggiato compleanni senza amici e detto addio a persone senza funerali. Chi ha potuto ha telelavorato, altri sono stati costretti a fermarsi del tutto e altri non sanno se ritroveranno il proprio posto di lavoro. Chi ha figli in età scolastica si è reinventato insegnante, a supporto della didattica a distanza. E soprattutto si è sforzato di trasmettere serenità ai bambini, impegnati a disegnare arcobaleni con lo slogan #andràtuttobene e alle prese con un avvenimento più grande di loro. Indossiamo - quasi tutti - la mascherina e ci salutiamo con i piedi o con i gomiti: banditi baci e abbracci, fino a nuove disposizioni.
Siamo stati bravi e attenti, dobbiamo continuare a esserlo. Perché l'#andràtuttobene disegnato sotto l'arcobaleno dai nostri figli diventi realtà.
Giuliano Gargano