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Lo studio ha evidenziato alcuni fattori peculiari associati alla diagnosi di Covid-19: la tosse secca, la febbre da oltre 72 h, la linfocitopenia e la grave insufficienza respiratoria

Diagnosticare precocemente il COVID-19 e distinguerlo da altre patologie è una delle sfide più impegnative con le quali si sta confrontando la comunità medico-scientifica. In aiuto arriva la recente pubblicazione sulla prestigiosa rivista Clinical Infectious Diseases sul RESILIENCY Study, riguardante le caratteristiche cliniche e laboratoristiche dei pazienti giunti in Pronto Soccorso per febbre e/o insufficienza respiratoria acuta nel sospetto di Covid-19. Questa ricerca è nata dalla collaborazione della "Sapienza" di Roma con il Policlinico Casilino di Roma ed è stata diretta e coordinata dal Dott. Alessandro Russo, dalla Prof.ssa Gabriella d'Ettorre e dal Prof. Claudio Mastroianni, Vice Presidente SIMIT. “Questo studio ha evidenziato alcuni fattori peculiari associati alla diagnosi di Covid-19: la tosse secca, la febbre da oltre 72 h, la linfocitopenia e la grave insufficienza respiratoria (come dimostrato all'emogasanalisi dal rapporto PaO2/FiO2 <250) – ha spiegato il Prof. Mastroianni – Questi fattori hanno differenziato in maniera significativa i pazienti con diagnosi confermata di Covid-19 al tampone nasofaringeo da quelli che sono stati ricoverati per altre eziologie. Tra le cause di eziologia non Covid-19 le più frequenti sono risultate l'embolia polmonare, la polmonite batterica e lo scompenso cardiaco acuto. Questa ricerca rappresenta un importante avanzamento nella conoscenza delle caratteristiche dell'infezione da SARS-CoV-2 nei primi giorni di malattia e al momento del ricovero in Ospedale. Il lavoro appena pubblicato ha riportato i dati della prima fase dello studio, relativa alla "prima" ondata epidemica. Il RESILIENCY study è tuttora in corso e analizzerà anche le caratteristiche dei pazienti con sospetto Covid-19 durante la "seconda" ondata”.

Il Covid-19 non sarà un ricordo che passerà rapidamente. Il 2021 richiederà ancora un impegno significativo nella lotta a questa malattia. La campagna vaccinale varata in queste ore dai decisori politici, la più ampia della storia, ridurrà i rischi, ma non porterà rapidamente alla conclusione della pandemia.
“Questi mesi ci hanno fornito un importante insegnamento su come migliorare la Sanità pubblica italiana e sulla nuova era dell’infettivologia che ci troviamo ad affrontare – ha sottolineato il Prof. Massimo Andreoni, Direttore Scientifico SIMIT – La globalizzazione infatti ha dimostrato che ogni malattia infettiva può espandersi rapidamente fino a raggiungere ogni angolo del Pianeta: servono dunque azioni più mirate e un piano pandemico che ci permetta un’immediata reattività. Inoltre, è opportuno costruire una nuova progettualità che riguardi soprattutto le vaccinazioni, che sono l’arma principale di prevenzione. Proprio su questo la SIMIT è molto impegnata e guarda oltre il vaccino anticovid: stiamo infatti elaborando un documento sulle vaccinazioni nell’adulto e soprattutto nei soggetti fragili”.

Le malattie infettive del XXI secolo sono profondamente influenzate dai fenomeni ambientali, climatici, sociali, demografici che già hanno portato a relativizzare il concetto di malattia tropicale, tanto che malattie come Dengue, Chikungunya, West Nile, Zika sono ormai stabilmente presenti anche alle nostre latitudini, suggerendo agli infettivologi un maggiore studio delle epidemiologie locali e una crescente collaborazione con altre discipline, inclusa la medicina veterinaria. Una potenziale minaccia risiede però anche negli stessi progressi della ricerca scientifica.

“La medicina moderna ha fatto passi da gigante – ha evidenziato il Prof. Claudio Mastroianni, Vice Presidente SIMIT - Oggi vengono impiantati biomateriali in tutto il corpo: protesi ortopediche, cardiache, valvolari, mammarie, a livello urogenitale; dispositivi generatori sono utilizzati nel cervello per stimolare l’attività cerebrale nei pazienti affetti da Parkinson. Tutti questi dispositivi curano i pazienti dalle rispettive patologie, ma rappresentano un pabulum, un terreno fertile per lo sviluppo di microrganismi, il cosiddetto biofilm, in cui gli antibiotici hanno difficoltà a penetrare. Esistono inoltre nuovi potenti farmaci biologici per chi soffre di malattie reumatiche, malattie infiammatorie croniche, patologie onco-ematologiche: queste terapie modificano la risposta immunitaria, provocando il rischio di riattivare infezioni latenti, come la tubercolosi, epatiti virali, infezioni erpetiche. Il ruolo dell’infettivologo dunque acquisisce ancora maggior rilievo nell’approccio al paziente e nel riconoscimento delle infezioni”.

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