Il fiato in perdita, il Covid al traguardo dei polmoni, il cesareo d'urgenza, il primo vagito, uno sguardo al fagottino in mano al ginecologo. Poi Camilla in rianimazione e Penelope in patologia neonatale. Per fortuna c'è il lieto fine, avvenuto all'Ospedale all'Angelo di Mestre, ora mamma e figlia stanno bene.
Mamma Camilla è Covid grave, Penelope è prematura, negativa, ma prematura, nasce un mese in anticipo su decisone dei medici per tentare di salvare mamma Camilla dalla polmonite interstiziale severa causata dal Covid. Da quel giovedì 25 marzo le dividono quindici giorni, dieci tamponi, cinque ausili respiratori, sei specialità mediche, decine di sanitari, quattro piani e quattro reparti dell’ospedale dell’Angelo. Prigioniero in casa, papà Piero è positivo. Non sa se rivedrà Camilla e non sa se conoscerà Penelope. Dorme in divano, “perché il letto di casa, senza Camilla e Penelope, non lo voglio toccare”. Camilla Gnata e Piero Zane sono due trentenni dell’isola veneziana di Murano, si conoscono da vent’anni e si amano da dieci. A settembre scoprono di aspettare un figlio. Ma il 14 marzo Camilla si sveglia con tosse secca, alterazione e respiro affannoso, fa il tampone ed è positiva, si contagia anche Piero. Camilla è preoccupata per la sua gravidanza, il terzo giorno la febbre sale e Camilla non riesce ad alzarsi dal letto, passano le giornate e le prescrizioni del medico di famiglia, ma la situazione peggiora. Una notte, Piero accompagna Camilla al bagno “ma in un tragitto di cinque metri Camilla si affanna come corresse i cento metri: chiamo il 118”.
Il 25 marzo Camilla è già in un letto del maxi reparto Covid dell’ospedale mestrino dell’Angelo con una diagnosi di polmonite grave da Coronavirus quando, tossendo, “sento per la prima volta dolori forti al ventre”. Pneumologi, internisti, ginecologi e pediatri dell’Angelo si consultano: la polmonite si è aggravata. Mamma Camilla, per salvarsi, deve entrare in terapia intensiva ma prima bisogna far nascere Penelope. “Ricordo i medici che mi spiegano del cesareo, poi il buio, poi gli occhi della mia Penelope in braccio a un medico, mentre me la mostra dall’angolino più remoto della sala parto, per cinque interminabili secondi, a distanza di sicurezza”. Penelope nasce, ed negativa al Covid.
Dalla sala parto, Camilla in barella prende la via della rianimazione, Penelope in termoculla quella della patologia neonatale. “Poi - dice Camilla - non ricordo altro”. Il resto lo ricorda papà Piero, a casa, in divano, positivo, inerme, appeso alle chiamate “che mi fanno gli specialisti ogni giorno da entrambi i reparti. Il letto in quei giorni non lo tocco più e non ci dormo più, perché mi ricorda Camilla. Riposo in divano”. È in divano anche quando alle 21.30 il medico rianimatore gli dice che la polmonite interstiziale di Camilla si è aggravata, tanto da non sapere se avrebbe superato la notte. “La faccio in bianco. Nove ore. Mi preparo già a dover crescere una figlia da solo, sperando che almeno lei ce la faccia. Il medico mi dice che mi richiamerà alle 6.30 per dirmi se Camilla ha superato la notte”.
Alle 6.30 Camilla supera la notte più lunga della sua vita. Da lì riprende fiato e risale dalla terapia intensiva alla subintensiva e di nuovo al maxi reparto Covid. “In quei momenti ho un solo obiettivo: salvare me per salvare Penelope”. In una sola settimana arriva alle dimissioni. Torna a casa a Murano, ancora positiva, ancora in isolamento e non può vedere la figlia Penelope. "Le mie giornate a casa, a quel punto, hanno senso solo al mattino, quando dalla patologia neonatale dell'Angelo mi inviano le foto e i video di Penelope. E poi la sera, quando gli infermieri tornano a fotografare la bambina, raccontandomi ogni piccolo progresso".
Quando Camilla torna a casa sola nell'isola di Murano, Penelope ha una settimana. Penelope è ancora affidata alle cure della patologia neonatale. Non è in grado di vivere autonomamente, ha un ausilio per respirare e un sondino nasogastrico per nutrirsi. “La bimba fa dei miglioramenti, ma la vicinanza della madre può essere determinante nel percorso di cura” spiega il primario dei reparti di pediatria e di patologia neonatale Paola Cavicchioli. “In accordo con mamma Camilla, decidiamo allora di farla tornare all’ospedale dell’Angelo, ricoverandola in una stanza di pediatria assieme alla figlia Penelope, in isolamento, affinché possano finalmente stare insieme”. Venerdì 9 aprile nella stanza delle api di pediatria Camilla stringe Penelope per la prima volta e piange per un giorno intero. “Penelope si attacca al mio seno e non smetto di piangere quando vedo che per la prima volta si alimenta da sola - dice Camilla -, non smetto di piangere quando vedo che il mio sforzo per continuare a stimolare la produzione del latte materno è ripagato”.
Mamma Camilla finalmente si negativizza e Penelope migliora a vista d'occhio. “I progressi della bimba si notano subito - ricorda Cavicchioli -. È emozionante riunire mamma e figlia dopo la separazione dovuta al virus: una gioia condivisa con i medici, gli infermieri e i sanitari tutti che li hanno seguiti in questa esperienza: terapia intensiva, ginecologia, medicina, pneumologia, pediatria e patologia neonatale. Durante questo periodo di pandemia è compito di tutti gli operatori proteggere i pazienti dall’infezione, ma allo stesso modo è necessario proteggere anche la relazione, soprattutto nel caso di una nascita pretermine. I genitori sono, con noi, parte fondamentale del sistema curante”. Prima delle dimissioni, ai sanitari che incrocia nel cammino di cura la famiglia Zane dona piccoli manufatti artigianali in vetro di Murano, la sua isola: "È ancora poco per dire grazie all'azienda sanitaria, all'ospedale dell'Angelo e a questi professionisti di aver salvato la nostra famiglia".
Sette giorni dopo le dimissioni, Camilla è completamente guarita e Penelope è sana e normopeso. Niente respiratore e nessun sondino nasogastrico. Penelope, Camilla e Piero adesso sono nella loro casa a Murano. “Non c’è lieto fine che possa fare più felice un ospedale e un'azienda sanitaria - dice il direttore generale dell’Ulss 3 Serenissima Edgardo Contato -. Lavoriamo tutto il giorno e tutti i giorni per impedire al Covid di diffondersi, vaccinando e prevenendo il contagio. Ma quando il contagio avviene, e colpisce duro, lavoriamo tutto il giorno e tutti i giorni perché il virus non divida nessuno, tantomeno una mamma dalla sua bambina”.