In Veneto il nuovo nomenclatore entrerà in vigore il 31 marzo 2025. La Giunta Regionale del Veneto aveva deciso di prorogare l’efficacia del proprio tariffario per le prestazioni di specialistica ambulatoriale. Scelta condivisa con Emilia Romagna e Lombardia, perché troppe erano le incertezze sui nuovi costi predisposti dal ministero della Salute.
In questi giorni l’entrata in vigore del nuovo tariffario ha viaggiato sulle montagne russe: a fine 2024 il TAR del Lazio aveva sospeso l’entrata in vigore del decreto (prevista per il 30 dicembre, poi un intervento dell’Avvocatura dello Stato aveva revocato il decreto del tribunale amministrativo, perché sospendere in corsa era impossibile e rinviando comunque al 28 gennaio una nuova decisione.
L’UAP – Unione Nazionale Ambulatori Poliambulatori – continua ad affermare che il nuovo nomenclatore tariffario rappresenterà un disastro per tutta la sanità, pubblica e privata. Nel pubblico perché i tagli provocheranno buchi nei conti delle aziende sanitarie, che saranno costrette a sanguinosi piano di rientro, che per essere appianati comporteranno un aumento delle tasse. Nel privato, perché non si può pensare di proporre rimborsi al di sotto dei costi di mercato, né ignorare l’aumento del costo della vita negli ultimi 26 anni (le tariffe sono appunto di un quarto di secolo fa). Macchinari, stipendi, investimenti hanno un costo di cui bisogna tenere conto.
Nonostante questo, oggi, in Veneto, la Cgil si scaglia contro la sanità privata accreditata, dicendo che il rinvio di tre mesi qui in Veneto è un regalo. L’assessore regionale Manuela Lanzarin risponde sul Mattino di Padova che è una misura rispettosa “nei confronti di chi ci aiuta a erogare le prestazioni e a smaltire le liste d’attesa”.
La verità è che suona strano sentire un sindacato esprimersi così: le strutture private accreditate applicano un contratto collettivo nazionale di lavoro ai propri dipendenti. Con le tariffe previste dal nuovo nomenclatore, avremo una serie di effetti deleteri: per stare nei costi dovremo tagliare il personale. E tagliando il personale, non potremo garantire le prestazioni che aiutano il servizio sanitario nazionale ad abbattere le liste d’attesa. Ci sarà un aggravio di lavoro per la sanità pubblica, che già oggi non ce la fa da sola.