Sanità
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Renzo Boschello Presidente Associazione: «Aiutiamo la ricerca a Padova per una leucemia sempre più curabile. Investire nella ricerca è fondamentale per contribuire in maniera sostanziale al miglioramento della qualità di vita delle persone ammalate». Prof. Livio Trentin Direttore U.O.C. Ematologia e Immunologia Az. Osp. Padova: «Questi due progetti di terapia onco-ematologica mirata con farmaci “intelligenti” rappresentano una nuova ed efficace frontiera. Grazie ai risultati di questi studi potremo aiutare concretamente molti pazienti».

«Molto spesso i problemi vengono percepiti solo quando sei direttamente coinvolto e allora ti chiedi se potevi fare prima qualche cosa di più che poteva aiutare te e gli altr». Questa la motivazione che ha indotto i tre soci fondatori, Renzo Boschello, ora Presidente della Associazione, con la sorella Franca Segretario, ed Enrico Giuriolo, Vice Presidente, ad impegnarsi per “fare la differenza”. L’8 marzo del 2011 è nata infatti l’Associazione «RCV ricerca per credere nella vita», un’iniziativa fortemente voluta e realizzata con lungimiranza ed entusiasmo, che già alla fine di quell’anno contava 6 Soci e che oggi sono diventati 36 di cui 18 volontari. «La nostra mission è semplice, diretta, efficace – afferma Renzo Boschello, Presidente della Assciazione RCV – aiutare fattivamente la ricerca sulle malattie onco-ematologiche dell’adulto portata aventi nell’Unità Operativa di «Ematologia e Immunologia Clinica» del Dipartimento di Medicina dell’Azienda Ospedaliera di Padova, mediante donazioni di strumentazioni medicali e assegni di ricerca. Il nostro scopo primario è appunto quello di finanziare la Ricerca per contribuire in maniera sostanziale al miglioramento della sopravvivenza e della qualità di vita dei pazienti adulti affetti da queste patologie oncoematologiche. L'attività dell'Associazione si svolge a livello locale, su Padova e Provincia, e in tutte le zone che gravitano nell'Ospedale di Padova».

Nell’ambito della propria mission l’Associazione nel mese di marzo 2021 ha finanziato due progetti di ricerca nel campo delle malattie linfoproliferative croniche di tipo B per un ammontare di 50.600,00 euro. Il primo studio ha lo scopo di identificare precocemente la recidiva di malattia. Recenti studi hanno dimostrato che nei pazienti trattati con Ibrutinib è possibile riscontrare mutazioni dei geni BTK C481S1 o di PLCG2, mentre in quelli trattati con Venetoclax la mutazione di BCL2 G101V3. La comparsa di queste alterazioni è associata a maggior rischio di resistenza e fallimento dei trattamenti. Inoltre è possibile identificare queste mutazioni 6-8 mesi prima dei segni clinici ed ematologici della recidiva di malattia. Il secondo progetto è volto ad identificare residui molto piccoli di leucemia linfatica cronica dopo il trattamento, ovvero la malattia minima residua (MRD). La MRD valutata tramite citofluorimetria si definisce come la presenza di meno di 1 cellula leucemica su 10.000 cellule sane. I trattamenti a base di anticorpi monoclonali (ad esempio. Obinutuzumab) e/o Venetoclax sono in grado di ridurre la malattia a livelli molto bassi. Recenti studi hanno dimostrato che più bassa risulta essere la MRD più tardiva sarà la recidiva della malattia e maggiore sarà la sopravvivenza dei pazienti.

«La leucemia linfatica cronica è un tumore raro del sangue – spiega il Prof. Livio Trentin, Direttore U.O.C. Ematologia e Immunologia Clinica dell’Azienda Ospedaliera di Padova e Presidente Onorario della Associazione RCV – ma, allo stesso tempo, è la forma più frequente di leucemia della popolazione adulta dei paesi occidentali. Questa malattia viene spesso identificata in pazienti asintomatici durante l’esecuzione di esami ematochimici di routine. Benché in molti pazienti la leucemia linfatica cronica sia asintomatica, non richieda un trattamento specifico ed abbia una sopravvivenza superiore a 15 anni, esistono dei sottogruppi di pazienti con malattia molto aggressiva e con sopravvivenza di pochi anni. La LLC è ancora una malattia incurabile, nonostante siano disponibili trattamenti chemio-immunoterapici, che combinano cioè anticorpi monoclonali con la chemioterapia, e trattamenti selettivi su proteine chiave nella sopravvivenza delle cellule tumorali. La terapia onco-ematologica mirata con farmaci “intelligenti”, in grado di agire specificatamente solo sulle cellule neoplastiche, rappresenta una nuova ed efficace frontiera terapeutica. I trattamenti con ibrutinib, un inibitore di BTK una proteina chiave della via del segnale del recettore per l’antigene delle cellule B, e con venetoclax, un inibitore di BCL2, una proteina chiave nel processo di morte cellulare programmata, sono dimostrati efficaci e sicuri in pazienti con malattie molto avanzate. Benché questi farmaci siano in grado di determinare delle remissioni di malattia duratura e di aumentare la sopravvivenza dei pazienti, circa il 15-20% di questi pazienti recidiva o risulta primariamente refrattario alle terapie. Grazie ai risultati di questi studi – conclude il Prof. Trentin –potremmo aiutare concretamente molti pazienti, identificando da un lato i pazienti con un residuo di malattia estremamente piccolo, dall’altro potremmo scoprire precocemente i pazienti a maggior rischio di fallimento del trattamento in corso. Perché la ricerca è vita, e alla vita dobbiamo credere».

 

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