Il grande caos

Sarò stato sfortunato. Avrò beccato il giorno da bollino nero (come durante le partenze per le ferie estive). Ma quello che ho vissuto oggi è stato un giorno da dimenticare per me e per le centinaia di persone che, come me, sono in fila per effettuare un tampone. In verità il paziente è mio figlio, che ha 11 anni e che è risultato positivo al Covid-19 lo scorso 29 dicembre, effettuando un tampone di controllo al termine di una quarantena scolastica. Quarantena che era stata annunciata con un messaggio della scuola alle 22.40 di sabato 18 dicembre. Al contrario di quanto era avvenuto in occasione di una prima quarantena (poveri ragazzi, non è certo questo il modo di affrontare un anno scolastico!), gli studenti non sono stati sottoposti a tampone per verificare quanti fossero positivi in classe: era appena entrata in vigore la norma secondo la quale bastava un solo caso per lasciare a casa tutti. In questo modo però non è stato possibile capire quanto fosse diffuso il contagio in una classe di una ventina di bambini. E infatti, al tampone del 29 dicembre, un bel gruppetto di studenti risulta positivo. Quanti, ufficialmente, non si sa: la scuola non ha fatto nessuna comunicazione e non sappiamo chi rientrerà a lezione il 10 dicembre. I numeri circolano nella cosiddetta “chat delle mamme”, ma nulla di più.

Soprassediamo. Mio figlio sta bene, trascorre il periodo di positività senza nessun sintomo e credo sia la cosa più importante. Per il rientro a scuola è previsto un tampone molecolare: la pediatra prepara una impegnativa e fissa il controllo al drive-in di Noale per sabato 8 gennaio, alle ore 10.57.
Diligentemente calcolo i tempi di spostamento, per non intasare la coda troppo presto e per non arrivare dopo l’orario fissato. Ma arrivato nel comune dei Tempesta, l’amara sorpresa: impegnative e orari fissati non valgono niente. Tutti in coda: prenotati, non prenotati, bambini, anziani, vaccinati con il booster e non. La protezione civile regola il traffico, bisogna lasciare libero il passaggio lungo la Noalese. Qualche telefonata ad amici e colleghi, per chiedere se ci sono soluzioni alternative. Mi dicono che anche se abbiamo la prenotazione a Noale possiamo cambiare sede: Dolo, Marghera, Oriago, Chioggia… Ma il rischio è di lasciare la coda qui per trovarla da un’altra parte. “Ieri mio nipote è stato in coda 8 ore a Padova”, mi dicono al telefono. Non ho modo di verificare, ma temo che non sia una esagerazione.
Il nostro appuntamento delle 10.57 è passato da due ore. Siamo quasi in prossimità dell’incrocio con la via Noalese: un furbo prova a infilarsi nella coda saltando 300 metri di fila. La protezione civile lo richiama al rispetto, lui fa un gestaccio e se ne va.
In macchina ripassiamo geografia dal tablet, la speranza è di poter rientrare presto a scuola e ogni momento è utile.

Una signora che prova a saltare la fila viene mandata in coda. Ripassa dopo 15 minuti e le sbarre dell’ospedale si aprono prodigiosamente solo per lei. Dopo altri 15 minuti esce, giusto il tempo di un tampone. Chissà qual era la parola magica per saltare la fila! Certo non erano magiche quelle di chi, giustamente, protesta a gran voce per il favoritismo vissuto sotto il proprio naso.

Una volontaria della protezione civile (sono tanti, tutti gentili e a disposizione) mi passa dal finestrino un fogliettino, “per accorciare i tempi”. Detto dopo quattro ore fa sorridere.

Si capisce già da questo che il problema è a monte: il sistema è andato in tilt perché “drogato” da persone senza prenotazione.
Mio figlio è digiuno e non va in bagno dalle 10 di questa mattina ma dice che ce la fa ad aspettare. Mi ha chiesto pane e nutella quando rientreremo a casa.

Finalmente, dopo 5 ore, arriva il momento del tampone. Il personale sanitario è altrettanto gentile, si legge nei loro occhi la fatica ma non si fermano un attimo. L’esito del tampone – ci dicono – arriverà tra 5 o 6 giorni, non riescono a processarli prima: c’è una specie di intasamento, l’attesa per il risultato raddoppia.

Vuol dire che il rientro a scuola è posticipato, ci aspetta qualche giorno di didattica a distanza. Bisognerà organizzarsi con lo smart-working e con le ferie, non ci si può rivolgere ai nonni o alle baby-sitter se non conosci l’esito del tampone. Si torna a casa, è il momento di pane e nutella.

Questo è il racconto di quello che mi è successo. Adesso vengono le considerazioni: a due anni dall’inizio della pandemia, è questo il livello di organizzazione raggiunto? Era così difficile prevedere questi numeri?
Mentre ero in coda, il bollettino quotidiano della Regione registrava 21.056 nuovi positivi, dato che porta il totale dall’inizio dell’epidemia a quota 749.781.

A cosa servono le impegnative e gli appuntamenti fissati al minuto se poi si deve stare in coda 5 ore?

Perché non vengono create file differenziate per chi ha l’appuntamento e per chi no? Perché non si pensa agli anziani e a bambini?
Non muovo critiche alla Ulss 3 in particolare, credo la situazione sia abbastanza generalizzata: ma mi chiedo veramente se qualcuno si assumerà la responsabilità di un marasma del genere. Che dopo 700 giorni non può più essere considerato una emergenza, ma una drammatica routine con la quale convivere.